Renzi e l'economia
Daniele Girardi
(23 Novembre 2014)
Quando è voluto diventare premier, Renzi pensava stesse arrivando la ripresa. Invece il paese è di nuovo in recessione e la sua politica economica è inadeguata come quella dei precedenti governi. Gli 80 Euro non bastano a stimolare i consumi; la finanziaria appena approvata è recessiva. La depressione economica potrebbe provocare importanti conseguenze politiche.
Quando, a febbraio di quest'anno, ha voluto prendere il comando del Governo, Matteo Renzi pensava che il paese stesse uscendo dalla recessione e che nei mesi seguenti il suo esecutivo avrebbe beneficiato della ripresa dell'economia. E' chiaro che le motivazioni della sua scelta sono state prettamente politiche: non voleva rimanere invischiato nel ruolo di segretario di partito "impotente", legato a doppio filo a un Governo Letta sempre meno popolare. Ma è altrettanto chiaro che Renzi si aspettava di iniziare la propria navigazione proprio mentre il vento dell'economia, da contrario, volgeva a favore.
LA SLIDE MANCATA
In effetti, secondo i dati disponibili a inizio febbraio 2014, gli ordinativi industriali - indicatore tradizionalmente considerato anticipatore della dinamica del PIL - avevano smesso di scendere e sembravano in rialzo (vedi grafico). I principali istituti di previsione sostenevano che l'economia italiana fosse in ripresa, dopo la dura recessione del biennio 2012-2013. Secondo il 'pool of forecasters' pubblicato a inizio mese dall'Economist, che sintetizza le previsioni di 20 importanti istituti privati, l'economia italiana era uscita dalla recessione e nel 2014 sarebbe cresciuta dello 0,4% (0,8% secondo i più ottimisti, mentre 0.2% era la previsione più bassa - vedi tabella). Questo era lo scenario quando Renzi ha pianificato la sua salita al Governo. La ripresa dell'economia avrebbe significato inversione del trend di crescita del tasso di disoccupazione, maggiore margine di manovra per la politica fiscale, e sopratutto la possibilità di intestarsene il merito. Non è difficile immaginare Renzi che proietta la slide in cui si vede che dopo qualche mese di suo Governo l'economia ha "cambiato verso".
L'ECONOMIA NON CAMBIA VERSO
Gli sgravi fiscali per i lavoratori dipendenti - i famosi '80 Euro' - sono stati concepiti con tale scenario in mente: una misura che stimola ulteriormente i consumi e la fiducia dei consumatori, in un'economia già in leggera ripresa. Per il resto, Renzi nei suoi primi mesi di Governo si è concentrato sulle riforme istituzionali. Nel suo report di Aprile il Fondo Monetario Internazionale continuava a vedere l'economia italiana in ripresa, prevedendo una crescita dello 0,6% per il 2014, e a Maggio Renzi ha stravinto le europee.
Tuttavia in estate è arrivata la doccia fredda: le previsioni si sono rivelate fallaci, l'economia italiana non riesce proprio a ripartire. Dopo la breve fase di stabilizzazione, il PIL è tornato leggermente a contrarsi e l'inflazione ha ripreso a diminuire, fino a diventare negativa in agosto. Il tasso di disoccupazione cresce ancora. In questo contesto, gli '80 Euro' non sono andati a incrementare i consumi. Le famiglie li hanno in larga parte risparmiati, in vista di un futuro incerto o per tappare i buchi di bilanci familiari stremati.
La nuova recessione ha messo a nudo il bluff di Renzi. L'ex sindaco di Firenze non ha nessuna nuova strategia per l'economia, tranne quella di cavalcare una ripresa che non è mai esistita. In termini di politica economica, non c'è discontinuità sostanziale tra Renzi e i suoi predecessori, dall'ultimo Tremonti in poi. La manovra presentata il 29 Ottobre, che detta gli indirizzi di politica fiscale del 2015, è recessiva come lo sono state tutte le manovre italiane dal 2011 in poi. Anche nel 2015 lo Stato italiano spenderà meno di quello che incassa con le tasse (al netto della spesa per interessi). In termini tecnici avrà un avanzo primario. In altre parole, anche nel 2015 lo Stato drenerà dall'economia più risorse di quelle che immette, rendendo impossibile una vera ripresa.
A grandi linee, la politica fiscale di Renzi consiste nel mantenere l'avanzo primario allo stesso livello del 2014, ridurre le tasse e ridurre la spesa pubblica, principalmente tramite il taglio dei finanziamenti agli Enti locali (per una discussione più dettagliata della manovra vedi questo post). Il problema è che durante una crisi come quella attuale, tagliare la spesa pubblica significa deprimere ulteriormente la domanda aggregata e intensificare la deflazione. E i tagli alle tasse non compensano la riduzione della domanda provocata dai tagli alla spesa, perché se una minore spesa pubblica si traduce per intero in minore domanda di beni e servizi, una parte degli sgravi fiscali verrà invece risparmiata. (Tecnicamente, il moltiplicatore della spesa è maggiore del moltiplicatore della tassazione.) Quindi tagliare le tasse e allo stesso tempo la spesa pubblica significa introdurre un ulteriore elemento di depressione dell'economia. Altro che politica "anti-ciclica" (come l'ha chiamata, mentendo spudoratamente, Renzi).
LE CONSEGUENZE POLITICHE DELLA DEPRESSIONE
Perseverando nell'attuare una politica fiscale recessiva, in un’economia già estremamente debole e con il commercio mondiale in rallentamento, l'Italia difficilmente uscirà dalla depressione. La politica economica italiana non ha affatto "cambiato verso". E probabilmente chi dopo le Europee ha preconizzato l'avvento di una lunga "era renziana" ha parlato troppo presto. Perché è difficile pensare che l'ex sindaco di Firenze possa mantenere il consenso a lungo, se non riesce a tirare fuori il paese dalla recessione.
L'ISTAT, sulla base di sondaggi, misura l'andamento della fiducia delle famiglie sulla situazione economica propria e del paese. E' interessante notare come la formazione dei Governi Renzi e Letta abbia determinato un sostanziale incremento delle aspettative nel mese dell'insediamento e in quelli immediatamente successivi, incremento che tuttavia è scemato successivamente. Sembra quindi che in entrambi i casi le famiglie abbiano visto nella formazione di un nuovo Governo la possibilità di misure di politica economica in grado di rilanciare l'economia ma che queste aspettative, dopo essere cresciute per qualche mese, si siano progressivamente raffreddate con l'arrivo di dati economici negativi nei mesi seguenti.
Se anche decidesse di cambiare strategia e di stimolare la crescita tramite una politica fiscale espansiva, Renzi si scontrerebbe con i vincoli imposti dall'assetto istituzionale dell'Eurozona. Quest'ultimo non consente un coordinamento della politica fiscale e monetaria in senso espansivo, e sta condannando un'intera fascia di paesi alla stagnazione e all'alta disoccupazione. Chiaramente, questa situazione non è sostenibile. Appare probabile - se non inevitabile - che alla lunga forze politiche contrarie alla gestione europea dell'economia prevalgano, in Italia come negli altri paesi del Sud Europa (compresa la Francia, dove il Front National è già primo partito). Il dramma è che le forze meglio posizionate per intercettare il (più che legittimo) malcontento sono quasi ovunque reazionarie e xenofobe. Con poche eccezioni (la principale delle quali è Syriza in Grecia), i partiti di sinistra non hanno saputo interpretare il contesto storico e sono rimasti legati a una vuota retorica europeista. Resta da vedere se queste forze, in Italia, saranno necessariamente esterne all'attuale Governo. Si potrebbe addirittura immaginare uno scenario in cui lo stesso Renzi, alla lunga, prenda atto che all'interno dei vincoli europei non è possibile la ripresa e traghetti il paese fuori dalla moneta unica europea. E per quello che abbiamo visto fino ad ora, è molto probabile che si tratterebbe comunque di un'uscita "da destra", con conseguenze sfavorevoli per i ceti medio-bassi.